di Massimiliano Lussana
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La carta d’identità dice 71 fra un mese esatto. Ma raccontare di Loredana Bertè è raccontare di una forza quasi soprannaturale, di un concerto al Porto Antico di Genova trascinante, di una forma vocale incredibile, di un personaggio che è inevitabilmente Loredana, e soprattutto di un popolo che la ama incondizionatamente. Trasversale per età, per provenienza, per storia, professione e formazione, ma tutti fedeli alla religione civile di Loredana.
Sono soprattutto le donne ad amarla incondizionatamente e così vedi una signora, una delle donne più belle che abbia mai visto, in postazione C17, elegantissima e stilosissima, di una raffinatezza rara con il suo vestitino blu e i gioielli che fanno pendant con il sorriso contagioso, che non si perde una strofa. Ma pochi posti più in là c’è invece una ragazza tatuatissima pronta anche lei a rilanciare ogni nota della Bertè. Sulla sedia C9 c’è il segretario della Camera di commercio di Genova Maurizio Caviglia, unanimemente ritenuto il numero uno italiano del suo settore e nel suo lavoro, che è uno che normalmente se muove un sopracciglio è subito una caccia all’esegesi del sopracciglio, anche se poi magari era solo un moscerino. Ma stasera anche lui non si perde una nota ed è felice come un bambino.
J15, F4, P7, potrei continuare posto per posto come in una gioiosa battaglia navale del popolo di Loredana. Che la stava aspettando dal 18 marzo 2020, quando era programmato per la prima volta il suo concerto genovese del tour “LiBertè”, prima che le nostre vite cambiassero, che ha seguito tutti gli spostamenti di data. E tutti quelli che c’erano ieri sera saranno certamente il 28 febbraio 2022 al Politeama Genovese per rivedersi questo concerto: “Ci siamo chiesti se fare anche quello invernale, dopo quello estivo. E la risposta è stata: perché no?. E poi stiamo preparando il prossimo album tutto di inediti. E’ ‘na bomba, non posso dirvi di più, ma ‘na bomba”.
Perché per la Bertè cantare sul palco davanti a un pubblico è la vita e lo racconta a più riprese: “Vi amo, vi amo tantissimo, non sapete cosa significa per me vedervi qui di fronte. Finalmente smettere di cantare dentro un armadio come ho fatto per un anno e farlo con voi è la mia valvola di sfogo. Grazie di esistere, come dice ‘namico mio a Roma”. E anche l’omaggio a Renato Zero è fatto.
A un certo punto, in tanti si alzano a ballare anzitempo, ma lei – disciplinatissima – li ferma subito: “No, no, state seduti, altrimenti ci richiudono dentro l’armadio”. E giù risate. Dura due ore, ma lei andrebbe avanti per tutta la notte, non tralasciando nulla: da “Figlia di Loredana”, diventato il nuovo inno della Bertè e del suo popolo”, che apre e chiude il concerto, a “Il mare d’inverno”, “Amici non ne ho”, “Maledetto luna park”, “J’adore Venise”, “Traslocando”, “Petala” e la musica latina di Djavan e Fossati di “Carioca”; “Non sono una signora”, “Dedicato”, “Sei bellissima”, “E la luna bussò”, “Per i tuoi occhi”, “In alto mare” e tantissime altre. Con anche uno spazio riservato alla sua storica corista Aida Cooper, che canta una notevole “Help”: “Lei stava con Mimì e ora sta con me”.
E proprio Mia Martini è al centro di uno dei momenti più intensi della serata, con “Luna” che è una canzone struggente e di rabbia, scritta dalla Bertè che urla al cielo: “Che fine ha fatto Dio?”. “Il 12 maggio 1995 – racconta Loredana – moriva mia sorella e io sono con lei sempre, ogni giorno. Una parte di me è seppellita con lei e non è vero che il tempo cancella il dolore, non cancella nulla”.
E poi altri ricordi di amici che non ci sono più, come Pino Mango, di cui canta “Fotografando”, intona un pezzettino di “Oro” in onore del disco d’oro vinto con “Libertè” (“Siamo ancora oro”) e ricorda la sua esibizione con “Re” a Sanremo con le due ballerine e le pance finte: “Era il 1986 e io sono andata a Sanremo praticamente incinta e ho fatto un video live sul palco e nessuno l’ha capito. Ma era qualcosa di rivoluzionario, solo Madonna lo fece come me. Tutti a Sanremo si attaccarono alla pancia e non ci hanno capito niente né del video live, né del senso della canzone”.
Oppure, Ivano Fossati a cui sono dedicati alcuni siparietti di canzoni: “Abbiamo lavorato insieme cinque anni, voi siete di Genova, lo conoscete bene, un precisino in sala, ‘na pazienza. Arrivava a registrare alle tre, puntualissimo, e io ovviamente non c’ero mai. E poi non mi dava le cassette – allora c’erano le cassette – per tirare fuori il meglio di me senza che io conoscessi prima il testo della canzone”.
O il reggae salentino dei Boomdabash, suoi compagni di strada nel trionfo di “Non ti dico no”: “Io amo le contaminazioni e quando ho incontrato il loro sound sono stata felice”. Storie di autori e storie di uomini, a partire da Bjorn Borg: “Ho vissuto sei anni a Stoccolma con il mio ex marito, boh…Dopo una litigata furibonda sono scesa al pontile sull’acqua ghiacciata e ho scritto questa canzone: “Mi manchi”. Però adesso nun me manca proprio pe’ gnente…”. E giù risate.
Insomma, è un doppio spettacolo, parallelo, di musica e racconti, come quello di Sanremo 2019: “A Sanremo 2019 sono andata in gara, perché ho voluto io essere in gara. Portavo “Cosa ti aspetti da me”, scritta da Gaetano Curreri, e in quattro sere il pubblico di Sanremo mi riservò quattro standing ovation. Tutto il pubblico dell’Ariston – che qualche volta avevo avuto il sospetto fosse cartonato – in piedi ad applaudirmi entusiasta, una cosa mai successa nella storia del Festival e infatti tutti i giornali scrissero: “La Bertè ha già vinto Sanremo”. Poi sono arrivati i verdetti e…quarta”.
Quando lo annunciarono il pubblico era in rivolta, “Baglioni mi guardava male, Claudio Bisio era imbarazzatissimo nel dirlo. Insomma, si inventarono il premio Pubblico di Sanremo. Ma io dissi loro che potevano pure tenerselo”. E giù altre risate. Il pubblico applaude esattamente come in quelle sere, come nella quinta standing ovation di questa storia.
In una parola, Loredana.