La cantautrice calabrese, 69 anni, al Tempo delle Donne 2020: «Una volta insieme a Björn Borg andai a cantare dal re Gustavo di Svezia, in giarrettiera. Posai per “Playboy” per soldi: non ho mai voluto diventare famosa, ma indipendente»
«Il mio cruccio è non essere diventata madre: avrei voluto lasciare il segno su dei figli. Purtroppo ho avuto compagni sbagliati e ho dato molto con i miei due ex mariti. L’amore è sopravvalutato: invade e finisce. L’unica mia grande passione è la musica».Lo ha detto Loredana Bertè domenica 13 settembre alla Triennale di Milano, ospite del Tempo delle Donne 2020: «È la terza volta che esco in otto mesi, questo virus mi fa paura. Nei mesi scorsi ho ascoltato moltissime canzoni, sto preparando un nuovo disco». Intervistata da Chiara Maffioletti e Michela Mantovan durante l’evento “Non sarò una signora” la cantautrice calabrese, 69 anni, ha raccontato diversi momenti della sua incredibile vita. «È stata mia sorella Mimì a farmi capire quanto la musica fosse importante per me. A casa metteva continuamente su dei dischi, tra cui quelli dei Beatles, che andai a vedere», ha raccontato Bertè. «Ho viaggiato parecchio: ogni tanto quando a Milano faceva freddo prendevo il primo aereo diretto in un luogo caldo. Quando arrivavo nei vari resort mi facevo amico il cuoco, che era sempre l’unico ad avere l’auto. E così andavo in giro a vedere concerti».
Bertè, che è stata la madrina di tutti i nuovi negozi Fiorucci che venivano aperti nel mondo, un giorno incappò in Andy Warhol in quello sulla 53esima strada di New York: «Mi divertivo a sistemare e a fare i caffè e lui mi scambiò per la barista: mi chiese un cappuccino con la brioche. Per un mese ogni pomeriggio alle cinque si presentò lì. Fu lui a soprannominarmi “pasta queen”». La vera cuoca della famiglia, ha proseguito la cantautrice, era però Mimì: «Un giorno mi invitò da lei a mangiare una mousse al cioccolato. C’era anche Ivano Fossati, che mi fece sentire “Non sono una signora”. Imparai bene solo l’inciso e così quando si trattò di incidere la canzone cantai quello, mentre le strofe le feci parlate. A Fossati piacque molto, mi voleva spontanea».
L’amata sorella Mimì è stata un tema rincorrente nell’intervista. «Ho il cuore di pietra e l’anima di seta. Sono diventata così dopo la morte di mia sorella. Non perdono, l’Italia si è comportata malissimo con la storia della jella che l’ha uccisa. Ho dei grandi rimorsi, avrei potuto fare qualche viaggio in meno e starle più vicino… Eravamo in simbiosi. Non mi fido di nessuno, mi fidavo solo di lei», ha raccontato. «Insieme ci siamo fatte forza di fronte a un padre padrone, un figlio di puttana. In casa c’era una tensione che si tagliava col coltello: lui adoperava le mani, i bastoni e i mattarelli. Era preside di un liceo, insegnava latino. Mia madre era insegnante alle elementari. Io e mia sorella siamo nate il 20 settembre, a tre anni di distanza. Non abbiamo mai festeggiato il compleanno, perché gli insegnanti prendono lo stipendio il 27… Mimì cantava a squarciagola: dovevano cambiare casa ogni anno perché i vicini si lamentavano. Io ho iniziato a cantare dopo dieci anni di teatro. Bill Conti mi disse che dovevo provare: mi portò in una casa discografica, fummo buttati fuori entrambi».
La cantautrice lavora da quando aveva 13 anni e ci ha sempre tenuto molto alla propria autonomia. «Non volevo diventare famosa, ma essere indipendente. Posai per Playboy per i soldi». Ha raccontato poi di quando il futuro marito Roberto Berger la presentò ai genitori, a New York: Bertè si presentò con la minigonna insieme a Renato Zero, con le piume in testa. «I genitori di Roberto erano scandalizzati. Sono sempre stata controcorrente, non mi è mai importato del giudizio degli altri. Le donne devono osare di più, concedersi meno, pensare di più al proprio progetto di vita, senza essere dipendenti dagli uomini. Unite potrebbero possono cambiare le cose».
Di progetti la stessa Bertè ne ha ancora moltissimi: «Vorrei avere vent’anni in meno per fare tutto ciò che ho in mente. Sento da sempre la malinconia che mi attanaglia. Ma finché vivrò romperò i coglioni a tutti. A volte sono una bella stronza, ma ormai non cambio: non sono una signora è il mio manifesto». E da un uomo quali qualità desidera? «Comprensione, dolcezza e generosità. L’unico regalo che mi ha fatto Bjorn Borg è stata una crema idratante comprata in aereo. Di Roberto Berger invece scoprii che era miliardario dopo tre anni che ci stavo insieme: pagavo tutto io. Lo incontrai in aereo con un gruppo di parrucchieri, pensavo che facesse il parrucchiere anche lui. Invece era super miliardario. Il giorno che lo sposai il padre lo diseredò, e lo diseredai anche io». Borg invece al tempo del loro matrimonio era ambasciatore della Svezia: «Cantai per il re Gustavo e andai a fare il brindisi con le giarrettiere, la minigonna e il corpetto con disegnate delle bambole rotte. Ogni volta che uscivo era uno scandalo, mi chiamavano “rockettara” all’italiana. Una volta mia sorella Mimì andò a cantare Oslo, vestita in Armani. Dissero: la cognata di Borg, questa sì che è una signora!».
Qualche giorno fa sui social Bertè ha commentato la morte di Willy Monteiro: «È inaccettabile. Non comprendo il senso di odio e di razzismo delle nuove generazioni, che sputano sopra la vita. Una morte così non si può sopportare. Siamo tornati nel Medioevo». La cantautrice fu testimone di episodi di razzismo già negli Anni 80: «Avevo una band composta da ragazzi afroamericani, i Platinum Hook. Durante il tour dovevamo fermarci in un albergo: li chiamarono negri e non li fecero entrare». Parlando del passato prossimo Bertè ha ricordato la propria partecipazione al Festival di Sanremo 2019, condotto da Claudio Baglioni: «Ricevetti quattro standing ovation. Non vinsi, per me era come se avessi vinto». Mentre a proposito del futuro ha detto: Aspettatevi un disco da paura, voglio vincere tutti i premi immaginabili e tornare il prima possibile sul palco con una tournée incredibile».